Ormai qualche mese fa ebbi una bella discussione con alcuni amici (colleghi di corso), mentre passeggiavamo, su un dubbio comune a molte persone che può essere riassunto in questa domanda: le persone vedono i colori allo stesso modo o ciascuno di noi ha una sua "tavolozza" personale con cui colora il mondo che lo circonda?
Per capire meglio la domanda la cosa più semplice è fare un esempio:
Tu ed un altra persona vi affacciate insieme alla finestra in una bella giornata primaverile come oggi e, guardando il cielo azzurro, commentate tra voi due quanto sia bello e piacevole quel colore. Entrambi lo chiamate col nome "azzurro", il vostro cervello interpreta i dati che l'occhio gli manda e ciascuno di voi "vede" quel colore tipico del cielo.
Siamo sicuri che voi due stiate vedendo lo stesso colore? O può forse darsi che il tuo amico veda il cielo rosso chiamandolo invece "azzurro" mentre magari vede un papavero azzurro dicendo che è "rosso"? Se voi due aveste questa visione diversa dalla nascita e, mentre imparavate a parlare, le vostre mamme vi insegnavano che il cielo è azzurro ed i papaveri rossi, non ci possono essere ambiguità nel linguaggio in quanto date entrambi lo stesso nome al colore della stessa cosa, (per entrambi il cielo è "azzurro" ed il papavero "rosso") l'unica differenza è nell'interpretazione che il vostro cervello fa del segnale visivo e nel nome che date al colore. In effetti, però, i nomi dei colori non sono mai a se stanti ma sono sempre associati a qualcosa o comunque voi, per definire un colore, dovete sempre fare una associazione con qualcosa che abbia quel colore o dare lunghezza d'onda, saturazione e intensità del raggio di luce di quel particolare colore ma comunque tutti questi modi di definirlo sono esterni al cervello e quindi non influenzati dall'interpretazione che quest'ultimo fa degli stimoli ricevuti dai fotorecettori (per sapere di più sulla misura del colore vedi qui). Per questo motivo sarebbe per te impossibile accorgerti della differenza nella vostra visione.
Anche sul piano sentimentale, il tuo amico, vedendo il fuoco azzurro (lo chiama però "rosso") associa come te il colore del fuoco al caldo, alla passione, al pericolo e come per te quel colore ha il nome "rosso", come per te è lo stesso colore che hanno i papaveri, il sangue, il bordo dei cartelli stradali, l'unica differenza è che se tu riuscissi ad entrare nel suo cervello e vedere quello che vede lui, chiameresti quel colore "azzurro".
Se ora non sono riuscito a confondere irrimediabilmente le idee, posso continuare e cercare di dare una risposta alla domanda iniziale.
Il fatto da cui dobbiamo partire è che se anche ci fosse una differenza di visione tipo quella descritta è per noi impossibile o quantomeno deve essere molto ma molto difficile riconoscerla in quanto nei rapporti che abbiamo tutti i giorni con le altre persone e con il mondo non risalta alcuna differenza di questo genere. Riassumo ora le conclusioni a cui si arriva come diretta conseguenza di questo fatto:
- I rapporti di contrasto tra i colori devono essere gli stessi. Se fossero diversi ce ne potremmo accorgere facilmente per esempio prendendo oggetti di colori diversi e dicendo a te ed al tuo amico di prenderne uno e mettere gli altri in ordine di contrasto via via crescente. Inoltre, per fare un esempio banale, le giacche arancioni per le emergenze automobilistiche devono avere un alto contrasto con tutti i colori dell'ambiente (strada, macchine, ecc) e se così non fosse per tutti, beh, sarebbe un bel pericolo fermarsi per strada! Vedi qui
- I limiti della banda di frequenze del visibile devono essere gli stessi: da 380nm a 780 nm circa (a meno di piccolissime differenze personali come per l'udito). Se così non fosse ci sarebbero persone che vedono gli infrarossi o gli ultravioletti e ce ne accorgeremmo presto anche in questo caso (sembra per esempio che le ultime generazioni vedano leggermente di più nel vicino ultravioletto).
- La risposta dei fotorecettori deve essere la stessa per tutti (è una cosa misurabile), quindi lo spazio dei colori è lo stesso per tutti (la tavolozza che abbiamo a disposizione è la stessa).
A questo punto, considerati questi 3 punti fissi, l'unica ipotesi plausibile che possiamo fare sulle varie interpretazioni che ciascuno di noi da ai segnali mandati dai fotoricettori al cervello è che, o vediamo tutti allo stesso modo o possiamo avere una visione "in negativo". Potrebbe quindi darsi che ci siano persone che vedono come te ed altre che vedono il mondo con i colori che tu osservi quando guardi il negativo di una foto. Questa ipotesi è in accordo con i 3 punti precedenti (i contrasti sono mantenuti, i colori a disposizione e la banda utilizzata è la stessa) e comporterebbe solo uno scambio tra colore e colore complementare durante l'interpretazione del segnale da parte del cervello ed inoltre l'informazione contenuta nell'immagine non verrebbe modificata in alcun modo essendo sempre possibile passare da positivo a negativo e viceversa.
Se quindi così fosse sarebbe per noi impossibile sapere se una persona vede in un modo o in un altro essendo la differenza puramente soggettiva.
Ciò comporterebbe per esempio, che chi vede in negativo vede il buio bianco e la luce intensa nera, certamente sembra strano ma se ci pensi, per due persone con visioni opposte è sempre la parte sinistra della foto che è quella "vera" mentre l'altra è quella negativa...
Quello che mi piace di questo discorso è che se anche quello che vediamo non è una cosa assoluta ma può essere addirittura opposta tra due persone, allora non sarà forse che anche il modo col quale interpretiamo il mondo e gli eventi che accadono sia relativo a chi siamo noi stessi? E allora, concetti come giusto/sbagliato visti in modo assoluto che senso possono ancora avere?
2 commenti:
Questo post merita un commento.
E' notevole l'analisi che fai del relativismo cromatico, come espressione (in)volontaria di un momento di comune condivisione di un non-valore, di un'assenza di certezza che in quanto tale si palesa solo nell'indeterminazione di se stessa.
E' forse questo l'avvenire di quest'umanità, che si futura nel più bieco negativo indistinguibile dalla luce dominante, o è forse questa luce che si fa natura e si fa tutto, contrastando il buio dell'ignoranza e della dogmaticità?
E' forse qui il senso di questa vita, quasi fosse un eterno ritorno cui tendiamo con disilluso fideismo non senza interrogarci sul perché di chi siamo, cosa siamo e finché siamo?
O forse, Maestro, volevo solo chiedere: "che ore sono?".
(è bello leggerti)
Possono avere un senso solo per un quieto vivere comune maggioritario. Vedere all'opposto ti porta a vedere e a non vedere delle cose in più e in meno dell'altro che vede in maniera opposta alla tua. Quindi, la mia ragione sarà giusta da chi dalla mia parte vede come me ed errata per chi opposta alla mia. Ma allora c'è un modo per poter vedere in entrambi i modi o avvicinarsi il più possibile all'altro maturando quindi un occhio critico capace di farti giudicare in maniera pressoché veritiera e giusta? O forse possiamo solo continuare a vivere in un mondo dove ci sarà chi avrà dalla sua la ragione della maggioranza e quindi un vivere "giusto" e felice mentre un altro che è nel lato oscuro e opposto debba rimanere oppresso dalla ragion altrui? Ma c’è anche chi vede in maniera diversa solo per una deformazione delle proprie capacità percettive nel mio caso http://www.toledo-bend.com/colorblind/Ishihara.html e quindi che fare non spetta a me perché non ho queste capacità
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