Certe cose sembrano così lontane che possiamo quasi fare finta che non esistano, che siano solamente scene tratte da un qualche nuovo film di Hollywood.
Invece purtoppo è realtà, è parte di quel sogno per alcuni, incubo per altri, che si spera finisca il più tardi possibile.
In fondo noi stiamo comodi nelle nostre case, curandoci dei nostri piccoli interessi quotidiani, il lavoro per alcuni, l'università per altri, l'amore, le liti, lo stress, gli amici, le vacanze; non lottiamo per la nostra stessa vita, ci sembra scontata, non proviamo la fame, il terrore, l'angoscia di non sapere cosa potrà accaderci domani, non abbiamo bisogno di venir salvati da qualcuno o la necessità di compiere atti eroici. Queste sono cose che accadono solo nei film e in quei best-seller americani che fanno tanto successo.
Il mondo invece non è così, fuori dalla nostra bella Diaspar la gente muore di fame o di sete, soffre, taglia le gole, combatte, la sera non sa se al tramonto successivo sarà ancora viva, fuori di qui c'è la guerra.
E quando qualcuno di noi esce dalla sicurezza che la nostra società ci offre per farci sapere quello che succede nei peggiori angoli del mondo, viene catturato ed imprigionato, vede com'è la vita dall'altra parte del muro, soffre, ha paura di morire perchè vede la morte in faccia, e fortunatamente riesce a tornare ed ha la forza e la capacità di raccontare quello che ha passato, beh, io credo che il minimo che possiamo fare sia ascoltarlo e poi riflettere un po'.
"I miei 15 giorni in catene" Racconto di Daniele Mastrogiacomo, Repubblica.it
martedì 20 marzo 2007
Tempo di pace?
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